SAVERIO BUSIRI VICI - architetto, pittore, scultore

Rosso di marte, rosso quinacridone, un centro abitato d'oriente. Monocromie di gialli plurimi, sabbie desertiche africane. Terre ocra, fiumi in piena. Neri, colori violenti, gruppi sociali d'Amazzonia. Blu cerulei, blu cobalto, blu oltremare, paesaggi d'Oceania che si perdono nell'orizzonte dei mari. Grigi, violetto cobalto, bruno Van Dik, trasparenze di personaggi irreali dell'India. Verde cinabro giallastro,paesaggio inquietante d'Indonesia.

Alternarsi di linee, striature,colori e superfici che si assestano e configurano a formare immagini nella loro condizione primaria. Reportage di viaggi lontani, sparsi sulla terra, fatti in solitudine, con la tensione evidente di considerazioni e conclusioni da riconsiderare epperciò registrare.

Colori surreali, "pennellate" fotografiche, inquadrature personali, luci di zoommate particolari, stupore di paesaggi improvvisi, mistero di occhi umani, eternità di oggetti senza tempo, liberi nell'atmosfera... il suo occhio, i suoi pensieri, i suoi interessi le sue scelte sono certamente riconoscibili nelle sue fotografie - Astrattismo e figuratività, in immagini estremamente personalizzate al di sopra e al di fuori della realtà.

 

LUIGI CIORCIOLINI - docente di Comunicazione e poeta

Che cosa fa felice un artista? Avere un pubblico, perché il pubblico fa esistere l’opera e di conseguenza anche l’artista. Ma che cosa fa più felice un artista? Che il pubblico entri in empatia con l’opera: che la capisca istintivamente anche se, magari, qualche dettaglio sfugge. Ma che cosa fa veramente felice un artista? Che il pubblico ti dica: è vero, vedo e sento qualcosa che avevo sempre portato dentro senza saperlo.

Questo fanno le sue foto. Rendono vero quel qualcosa che non sapevo di sapere, rendono vero quel qualcosa che non sapevo di ricordare, rendono vere le cifre segrete dell’anima (o della mente o psiche o spirito, chiamiamolo come vuoi non è importante questo adesso) liberandole dalla schiavitù del linguaggio, libere dal bisogno della parola per esprimersi. Questo è lo stupore che suscita la pittura quando ti dice che a una certa ora del giorno e in un certo stato d’animo gli alberi sono viola. Questo suscita la musica jazz quando ti dice che con un certo tono della notte e un certo umore dell’ora (di solito la mezzanotte) le note sono azzurre.

Di fronte a questo i giocolieri di parole si sentono miseri e chinano la testa. Si può naturalmente razionalizzare utilizzando Sedlmayr, la cosa assoluta di Duchamp e la forma assoluta di Malevich. Ma chi se ne frega di questo quando le sue foto rendono balbettante la Ragione e diafana la pelle mettendo l’immagine in contatto direttamente con l’Emotività? Quando recuperano l’esserci-qua e ora?

Quando è passato l’Angelo di Dio a distribuire il talento, lei c’era. Cazzo se c’era.

RUGGERO MARINO - giornalista e scrittore

... il "terzo occhio". L'occhio della magia, l'occhio subliminale, quello che scorre e corre sulle cose e le trasforma, le vivifica. Un "terzo occhio", che si proietta curiosamente in un'appendice meccanica, l'obiettivo della sua macchina fotografica. Ed ecco che la Segatori si converte in un'entomologa, in una cacciatrice di istanti còlti, rapiti e subito smarriti. Ma che, grazie alla sua sensibilità, diventano improvvisamente immortali.

Perché questa è la magia della fotografia, la cattura dell'istante, dell'effimero, dell'infinitesimale, di ciò che compare per esistere in un'unica frazione di secondo. Così fotografare diventa per lei una sorta di safari "en plein air", quanto mai felice soprattutto nella natura. Dove il "terzo occhio" si diverte a rivelare ciò che normalmente sfugge all'osservatore inconsapevole o distratto. Ed ecco rocce-giganti, che non sembrano attendere altro che la mano e il martello di un ciclopico Michelangelo, in grado di strappare dalla pietra il creato che vi è nascosto, ed ecco vegetali che si offrono in una visione del tutto inedita, agavi che sembrano spade lucenti da excalibur, oggetti che sembrano corazze, particolari che sono perle racchiuse in un intero anonimo ...e poi i paesaggi, gli scorci, l'acqua, le nuvole, movenze inquietanti e affascinanti nelle loro volute istantanee e volubili. Acqua, aria, fuoco, terra. Come lei stessa ha scritto: "terra, Terre". In un unico, complesso e rutilante forno alchemico e prometeico.
Dove naturalmente non può mancare la presenza umana: visi, corpi, sguardi, Più che uomini e donne, sono flash. Stelle filanti e rutilanti di un carnevale universale.
E naturalmente, oltre tutto e su tutto, la luce. Una luce che abbaglia, che sfuma, che carezza, che dà corpo e sostanza: una luce-spirito, una luce-non luce, una luce-ombra caravaggesca, e il buio, sempre.

Quasi alla pari con gli attimi rubati al deserto: qualcosa di silente, sacrale, in quello che resta l'ambiente dei mistici per eccellenza... quel soffio di vento al tramonto, che accende e infuoca i granelli, mentre un refolo li solleva di qualche spanna e le linee della composizione si incrociano, in una sinfonia, in un'eternità imprigionata per sempre: lo spirito del mondo all'alba del tempo. In una sorta di replica della creazione. Il deserto: che poi è ancora la vita. Nel gioco eterno dell'ombra e della luce, nell'eterna partita a scacchi che ci ripropone una sciamanica Masaori.

 

ELENA ALBERTI NULLI - poetessa

Ho spalancato ogni finestrella allo stupore, le sue immagini appartengono ai giardini dell'innocenza e io la vedo immobile con la sua Nikon a sorvegliare uomini e cose con sguardo di poeta tenero e vertiginoso che sa fermare i sogni, i dolori, le fatiche, i dubbi, l'amore.
Fotografia-poesia che ferma nel tempo lei stessa, creatura di musica e di silenzio, di festa e di malinconia, di leggerezza e di profondità.